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lunedì 26 gennaio 2015

Message in a bottle: la blog therapy

La scrittura era dentro di me...epperò non usciva di fuori!

D'altra parte come poteva essere altrimenti? Io e i miei travagliati quanto monotoni e indecifrabili 6/7 (...è sei o è sette? mah!) ai temi in classe del liceo, conquistati a fatica sempre con l'impressione di un'elargizione caritatevole dell'insegnante di italiano. Io che ho accolto con gaudio e plauso la fine della stesura di elaborati scritti per tutta la durata della carriera universitaria e sempre io che al lavoro impegnavo anima e corpo nella composizione al massimo di...qualche mail!

Per un certo periodo della mia vita ho odiato scrivere.


Il foglio bianco, sia esso cartaceo o binario...mi intimoriva col suo enorme senso di vacuità da riempire con qualcosa di degno di essere scritto (soffrivo tremendamente di ansia da prestazione collegata al giudizio della mia scrittura!)

Eppure non era sempre stato così. Son sempre io la bambina che non appena imparato a scrivere e a leggere si è divertita nell'inventar storie illustrate, magari, alla maniera dei bambini, anche per "cacciare" fuori brutte sensazioni e paure e fissarle lì, sulla carta, esternandole e liberandosene quindi per sempre: dando una collocazione e un segno (un simbolo) alle emozioni che si provano.

Il senso della scrittura in effetti per me è sempre stato quello: un momento di sfogo o meglio ancora un mezzo per comprendere gli avvenimenti, per decifrare pensieri avviluppati e ingarbugliati, per inventare nuove realtà e poi magari...viverle, per dirla un po' alla Jerome Bruner, secondo cui la "scrittura di sé permette di riconoscersi autori della propria esistenza".

Da svolgersi in assoluta privacy.
Non per i contenuti che più personali sono, più risulta difficile diffonderli (...non sempre) ma quanto per il risultato finale che non mi è mai sembrato degno di interesse altrui (colpevole sempre l'ansia da prestazione).

Altrui forse no. Ma mio sì.

Questo ho compreso.

Ed è questa la la chiave di lettura che voglio utilizzare per interpretare il diffuso fenomeno del blogging, con particolare riferimento ai blog che raccontano di "vita".
Come i numerosissimi e a me molto cari mommy blog.
Donne che partendo dalla maternità come esperienza di crisi (nel suo significato etimologico di rottura) con il proprio modo di stare al mondo, precedente al lieto evento, si aprono al Wide World per parlare di temi importanti legati alla gravidanza, alla maternità e alla crescita dei bambini e di loro stesse come genitori o per esprimere tutta la loro creatività attraverso la condivisione delle loro passioni, riscoprendosi magari poi esperte e portabandiera di nuovi mezzi di comunicazione e trasformando questa esperienza nel punto di partenza per la ri-costruzione di una nuova identità personale e professionale.

Internet diventa un mezzo potente per raccontarsi ed è così vasto che l'aprirsi, il condividere appare semplice e non troppo coinvolgente emotivamente.

E' quella sensazione che si ha quando il pubblico davanti al quale ci si esibisce è così vasto che perde di identità e concretezza. La bimba che cantò l'Inno di Mameli alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Torino 2006  (chi è di Torino ha ben presente quel visino dolce e quella vocina incantevole), intervistata da un giornalista de La Stampa che voleva sapere se non fosse emozionata durante l'esibizione, ripose candidamente che cantare allo stadio davanti a tutta quella gente è come cantare...da soli!

Questa è la sensazione che si ha scrivendo in Internet: un potersi narrare liberamente e con creatività, attraverso l'uso di tecniche narrative differenti, senza l'ansia di valutazioni, ma bensì col gusto del gioco e del mettersi in gioco.

E con la speranza che attraverso lo sharing (la condivisione delle informazioni) il nostro messaggio, affidato alle correnti sconosciute di questo Mare Magnum, navigherà come la bottiglia di un naufrago verso lidi sconosciuti e lontani, dove risiedono le persone che lo stavano aspettando.

CC by Susanne Nilsson, Fonte immagine

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