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domenica 2 agosto 2020

La lezione del cactus

Come stai? Serena, ma variabile.
Con probabilità di aumento costante di ansie e preoccupazioni per l'avvistamento di addensamenti cumuliformi grigi e minacciosi all'orizzonte, ma vivendo anche improvvise e inaspettate schiarite nella tempesta.
Sono meteopatica, luna-patica, vento-patica, ormoni-patica e subisco anche gli effetti degli eventi e degli altri, insomma tutto o quasi mi attraversa e ha su di me la sua influenza. Figuriamoci una pandemia.
Ci siamo da poco lasciati alle spalle le lunghe settimane in lockdown, trascorse a fare il pane, la pizza, i dolci, ad impastare pensieri con la farina, che spariva dagli scaffali e rimanevano solo i pensieri, asciutti e duri, pensieri azzimi, che neppure il lievito si trovava più.
Abbiamo allora generato pazientemente la pasta madre, per vederla crescere, diventare "grande", praticamente autonoma.
Abbiamo cercato mascherine, rare come la farina, rara come il lievito, per ripiegare anche qui sul fai da te. Abbiamo telefonato alla guardia medica preoccupati per una febbre, per ascoltare la vera disperazione dall'altro capo del telefono. Ci siamo meravigliati di quanti cani ci fossero nel quartiere, abbiamo sospettato dei "runner da quarantena", ci siamo lamentati dei compiti, per chi troppi, per chi pochi, e abbiamo subìto l'iperattività della chat delle mamme. Settimane trascorse ad indignarci di quelli che non mantengono le distanze, di quelli che tengono la mascherina solo sulla bocca e non sul naso, di quelli che non rispettano le regole, di chi se le confeziona ad personam.
Siamo diventati cintura nera di smartworking "in meno di 4 lezioni!". Gestito plurivideoconferenze in simultanea a pranzi e richieste lavorative con analisi grammaticali, inventato con molta fantasia spazi in una casa dai metri quadri limitati. Ho visto cose che da impiegata d'ufficio non avrei mai potuto immaginare.
Abbiamo seguito più workout in queste settimane che in tutto il 2019. A dire il vero anche del 2018. Visto documentari e visitato la Statua della Libertà dal divano.
Abbiamo imparato a tenere la distanza, ma non abbiamo imparato a prendere le distanze, dai pensieri tossici, per esempio o dal superfluo accumulato compulsivamente nelle nostre vite.
Abbiamo lavorato tanto, anche in congetture, tessuto trame di scenari futuri di giorno, disfatte poi la sera davanti alle trasmissioni unificate. Combattuto crociate contro i maledetti videogiochi e sconfitto la noia infinita dei bimbi utilizzando i benedetti videogiochi. Abbiamo affrontato la paura, adulta, di fare le piccole cose quotidiane: buttare la spazzatura, fare la spesa... fare il giro dell'isolato senza il cane.
Un periodo di lunga convivenza con l'insonnia, la rabbia e l'ansia. Con se stessi.
Un periodo passato a fare i conti, con la consapevolezza che siamo niente.
Abbiamo atteso con angoscia l'arrivo della fase 2, guardato indietro tirando un un po' fiato e avanti trattenendolo.
Siamo usciti dalle case timorosi e assetati di contatto: con la Natura, con la quotidianità, con gli altri, ma già eravamo goffi prima, figuriamoci dopo la clausura. Vorremmo berne a garganella di socialità, ma riusciamo a fare solo piccoli sorsi, facendo bene attenzione a non immergerci veramente nell'altro, per paura di naufragare.
Ci piacerebbe pure fingere che non fosse successo nulla.
Dimenticare, passare oltre, e finiamo per confinare memorie scomode in qualche parte recondita di noi, che quando cambia il tempo si fa sentire.
A me per esempio sono comparse le palpitazioni. Da brava signora di mezz'età che si rispetti. Saranno questi capelli grigi affiorati dalla quarantena da parrucchiere o sarà che passano gli anni, il mio cuore si è messo a fare il tamburo di Jumanji.
Ho deciso che non mi preoccuperò troppo (per ora) lo lascio fare, ogni tanto lo ammonisco "keep calm", lui se ne sta, ma al minimo battito di ali di farfalla dall'altra parte del mondo, nel mio petto parte un uragano. Non penso sia troppo grave, credo che sia la voglia di vivere, che pulsa più forte in un mondo che si riscopre mortale, un brusco (ma breve) risveglio dalla Madre delle rimozioni.
Ci hanno detto che il lockdown ci ha fermati, in realtà io ho visto tutto muoversi molto.
I miei figli, per esempio, sono diventati grandi.
Sono entrata in lockdown senza accorgermi dell'avvio lento, ma burrascoso del fermento ormonale, esco dalla clausura casalinga con un preadolescente e l'altro che lo segue a ruota.
Io ho ripreso a dipingere. Il mio cactus a fare fiori.
Una sequela di splendidi fiori fucsia e rosa, belli come i fuochi d'artificio quando sei in vacanza. 
Se sei bouganville o rosa, la gente si aspetta che tu fiorisca, è normale. Quando non succede, si resta delusi, magari ci si preoccupa, ma se sei un ponfetto bassotto pieno di aculei nessuno si aspetta niente da te. Anzi ancora grazie che tu resista alle intemperie e ai lunghi periodi di siccità di cure.
Che poi è la lezione del cactus: ognuno hai i suoi tempi e i modi per sbocciare e la sua volontà di farlo. 
C'è chi per fiorire vorrebbe sempre il Sole caldo sopra di sé e i piedi a bagno nell'acqua fresca; c'è chi invece, quando arriva il suo momento, non ci rinuncerebbe mai, nemmeno tra le spine. Nemmeno si fermasse il mondo.


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