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sabato 28 novembre 2015

Lavare a mano delicatamente (ma con costanza)

Si avvicina il Natale. Che felicità!, cantiamo tutti in coro…
Ok. Ci provo, ma con scarsi risultati: non riesco a simulare.
Son contenta che arrivino le festività natalizie, per carità, ma se da un lato il momento è magico per la gioia e l’intimità famigliare, dall'altro è indubitabile che sia un periodo stressante di corse contro il tempo e di lotte contro il budget di spesa!
A dire il vero per quest'ultimo punto non è che servano troppi ragionamenti: quasi tutto si concentra in balocchi per il pargolame.
Come ogni anno in queste settimane, se non prima, inizia la consultazione serrata di cataloghi natalizi e il fastidioso martellamento televisivo.
Che se della televisione s’è detto molto in termini di salute, educazione, ore di fruizione, poco si è detto, secondo me, di quanto sia dannosa, ma veramente, la pubblicità rivolta ai ragazzi.
Alcuni programmi destinati al pubblico infantile sono accettabili e per alcuni aspetti anche educativi (diverso è il discorso quando il target è l’adolescente), ma la réclame no, dell'intermezzo pubblicitario non si salva nulla.
E' un sopruso legalizzato ai danni delle generazioni in crescita.

Assiduo è il martellamento. Soprattutto in questo periodo di grassi affari, il numero e la frequenza degli spot aumenta considerevolmente. Qualcuno potrebbe obiettare: “…è la legge di mercato, vuoi la tv per i ragazzi gratis?" Ma perché no?! Programmi televisivi "gratis" e magari anche di qualità per i ragazzi, è ciò che VOGLIO. I bambini non devono essere l’oggetto delle mire lucrative di uomini d’affari; essi, per la società in cui vivono, devono essere PRIMA persone e DOPO (eventualmente) consumatori.

Lo stile comunicativo è fortemente ingannevole. Se un adulto non fa difficoltà (forse) a distinguere tra finzione e realtà, questo non è vero per i bambini. I bambini vanno istruiti a non credere alle pubblicità. Il bambino non può sapere che si tratti di una macchinosa e costosa messa in scena il cui unico scopo è creargli un bisogno, un desiderio (solo questa ragione potrebbe essere sufficiente a bandire da una società civile la pubblicità rivolta ad un pubblico minorenne).
Qualcuno (forse lo stesso di cui sopra) obietterà che i bambini credono anche alle favole ed è proprio peculiarità di questa età felice confondersi e perdersi nella fantasia. Questo però non è vero, perché il linguaggio narrativo della favola e della storia (anche televisiva) consente di immedesimarsi nei personaggi durante la narrazione per poi uscire dal registro fantastico appena la favola si conclude, mantenendo un po’ come nel gioco, il parallelismo tra due mondi ben distinti, quello fantastico e quello reale. Mondi che si compenetrano e si alimentano, di spunti dal reale e di insegnamenti, crescita e catarsi dalle favole.
La pubblicità propone invece dei modelli interpretativi della realtà, verosimili, facendo intendere che questi siano validi anche per se stessi. Non è un “giochiamo a…” fare l’eroe o alla donna “grande”, ma osservo passivamente altri bimbi come me che si comportano in un certo modo scegliendo determinati prodotti.

Strettamente correlata a quest'ultimo punto è la prepotenza dello stereotipo suggerito.
Inondazioni di rosa per le femmine, Barbie, bambolotti, costruzioni rigorosamente a "tema femminile": boutique per lo shopping o per la manicure e se la tendenza personale è quella di essere una vera giovane ribelle, allora si può assecondare con giochi d'avventura ma rigorosamente in nuance delicata, per non rinunciare alla femminilità anche nei momenti di trasgressione. Mentre per i maschi i valori che emergono sono la competizione, la forza, il primeggiare, con conseguente rinuncia ad una fetta importante di possibilità di scelta: la sensibilità, l’estetica, la solidarietà, per fare qualche esempio.
Ci tengo a sottolineare che in questa sede non si vogliono demonizzare le tipologie di modelli proposti. Non c’è nulla di male ad essere femmina e volersi vestire di rosa e giocare alle pentoline o ad essere maschio e amare giochi di movimento e competitivi, ma non c’è nulla di male anche nel viceversa, che raramente viene rappresentato.
La frequenza con cui uniche tipologie vengono riprodotte è tale da connotarle in stereotipi, i quali incasellano la complessità dell'individuo in categorie preconfezionate.
Diversamente succede nei cataloghi di giocattoli per bimbi dialtri paesi europei, dove si può trovare un bambino che gioca insieme ad una bambina ai fornelli di una cucina colorata (non di rosa).

Certo sarebbe semplicistico puntare il dito contro la pubblicità televisiva identificandola come “l’origine di tutti i mali”, essendo un mezzo di promozione di un prodotto al fine di aumentarne le vendite, essa probabilmente riflette le condizioni attuali della società in cui viene diffusa.
Ma che sia un veicolo o uno specchio di valori sociali e culturali diffusi, la pubblicità ci informa che siamo ben lontani dal superamento di modelli che pensavamo appartenessero ad un passato non emancipato.
La realtà oggi è variegata, multi sfaccettata e variopinta, come tanti sono i colori che dipingono l’identità di ciascun essere umano che è ben distante da un modello culturale uniforme, ma purtroppo luoghi comuni e stereotipi che lo supportano, sono ancora troppo diffusi e rappresentati.

Il bombardamento di immagini standardizzate soprattutto se non controbilanciato dall'espressione attiva di una cultura differente, assume la connotazione di un vero e proprio lavaggio del cervello, delicato, sì, ma costante, che avvia la sua opera negli albori della infanzia.


Cervello lavato delicatamente ma costanza, diventato tutto rosa, morbidoso e luccicoso!

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