Si avvicina il Natale. Che
felicità!, cantiamo tutti in coro…
Ok. Ci provo, ma con scarsi risultati: non
riesco a simulare.
Son contenta che arrivino le festività
natalizie, per carità, ma se da un lato il momento è magico per la gioia e l’intimità
famigliare, dall'altro è indubitabile che sia un periodo stressante di corse
contro il tempo e di lotte contro il budget di spesa!
A dire il vero per quest'ultimo punto non è che servano troppi
ragionamenti: quasi tutto si
concentra in balocchi per il pargolame.
Come ogni anno in queste settimane, se non
prima, inizia la consultazione serrata di cataloghi natalizi e il fastidioso
martellamento televisivo.
Che se della televisione s’è detto molto
in termini di salute, educazione, ore di fruizione, poco si è detto, secondo
me, di quanto sia dannosa, ma veramente, la pubblicità rivolta ai ragazzi.
Alcuni programmi destinati al pubblico
infantile sono accettabili e per alcuni aspetti anche educativi (diverso è il
discorso quando il target è l’adolescente), ma la réclame no, dell'intermezzo pubblicitario non
si salva nulla.
E' un sopruso legalizzato ai danni delle
generazioni in crescita.
Assiduo è il martellamento. Soprattutto in questo periodo di grassi affari, il numero e la frequenza degli spot aumenta considerevolmente. Qualcuno potrebbe obiettare: “…è la legge di mercato, vuoi la tv per i ragazzi gratis?" Ma perché no?! Programmi televisivi "gratis" e magari anche di qualità per i ragazzi, è ciò che VOGLIO. I bambini non devono essere l’oggetto delle mire lucrative di uomini d’affari; essi, per la società in cui vivono, devono essere PRIMA persone e DOPO (eventualmente) consumatori.
Lo stile comunicativo è fortemente ingannevole. Se un adulto non fa difficoltà (forse) a distinguere tra finzione e realtà, questo non è vero per i bambini. I bambini vanno istruiti a non credere alle pubblicità. Il bambino non può sapere che si tratti di una macchinosa e costosa messa in scena il cui unico scopo è creargli un bisogno, un desiderio (solo questa ragione potrebbe essere sufficiente a bandire da una società civile la pubblicità rivolta ad un pubblico minorenne).
Qualcuno (forse lo stesso di cui sopra) obietterà che i bambini credono anche alle favole ed è proprio
peculiarità di questa età felice confondersi e perdersi nella fantasia. Questo
però non è vero, perché il linguaggio narrativo della favola e della
storia (anche televisiva) consente di immedesimarsi nei personaggi durante la
narrazione per poi uscire dal registro fantastico appena la favola si conclude,
mantenendo un po’ come nel gioco, il parallelismo tra due mondi ben distinti,
quello fantastico e quello reale. Mondi che si compenetrano e si alimentano, di
spunti dal reale e di insegnamenti, crescita e catarsi dalle favole.
La pubblicità propone invece dei modelli interpretativi della
realtà, verosimili, facendo intendere che questi siano validi anche per se
stessi. Non è un “giochiamo a…” fare l’eroe o alla donna “grande”, ma osservo passivamente
altri bimbi come me che si comportano in un certo modo scegliendo determinati
prodotti.
Strettamente correlata a quest'ultimo punto è la prepotenza dello stereotipo suggerito.
Inondazioni di rosa per le femmine, Barbie, bambolotti,
costruzioni rigorosamente a "tema femminile": boutique per lo
shopping o per la manicure e se la tendenza personale è quella di essere una vera giovane ribelle, allora si può
assecondare con giochi d'avventura ma rigorosamente in nuance delicata, per non
rinunciare alla femminilità anche nei
momenti di trasgressione. Mentre per i maschi i valori che emergono sono la
competizione, la forza, il primeggiare, con conseguente rinuncia ad una fetta
importante di possibilità di scelta: la sensibilità, l’estetica, la
solidarietà, per fare qualche esempio.
Ci tengo a sottolineare che in questa sede non si vogliono demonizzare le tipologie di modelli proposti. Non c’è nulla di male ad essere
femmina e volersi vestire di rosa e giocare alle pentoline o ad essere maschio
e amare giochi di movimento e competitivi, ma
non c’è nulla di male anche nel viceversa, che raramente viene
rappresentato.
La frequenza con cui uniche
tipologie vengono riprodotte è tale
da connotarle in stereotipi, i quali
incasellano la complessità dell'individuo in categorie preconfezionate.
Diversamente succede nei cataloghi di giocattoli per bimbi dialtri paesi europei, dove si può trovare un bambino che gioca insieme ad una
bambina ai fornelli di una cucina colorata (non di rosa).
Certo sarebbe semplicistico puntare il dito contro la pubblicità televisiva identificandola come “l’origine di tutti i mali”, essendo un mezzo di promozione di un prodotto al fine di aumentarne le vendite, essa probabilmente riflette le condizioni attuali della società in cui viene diffusa.
Certo sarebbe semplicistico puntare il dito contro la pubblicità televisiva identificandola come “l’origine di tutti i mali”, essendo un mezzo di promozione di un prodotto al fine di aumentarne le vendite, essa probabilmente riflette le condizioni attuali della società in cui viene diffusa.
Ma che sia un veicolo o uno specchio di valori sociali e culturali
diffusi, la pubblicità ci informa che siamo ben lontani dal superamento di modelli
che pensavamo appartenessero ad un passato non
emancipato.
La realtà oggi è variegata, multi sfaccettata e
variopinta, come tanti sono i colori che dipingono l’identità di ciascun essere
umano che è ben distante da un modello culturale uniforme, ma purtroppo luoghi
comuni e stereotipi che lo supportano, sono ancora troppo diffusi e
rappresentati.
Il bombardamento di immagini standardizzate soprattutto se non
controbilanciato dall'espressione attiva di una cultura differente, assume la
connotazione di un vero e proprio lavaggio
del cervello, delicato, sì, ma costante, che avvia la sua opera negli albori
della infanzia.
Cervello lavato delicatamente ma costanza, diventato tutto rosa, morbidoso e luccicoso! |
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