Cercherò in questo post di fornire una risposta a questa domanda che mi è stata fatta più volte durante il mio percorso di gravidanza per il parto a domicilio.
Comincerei tutto con una frase: "Su, su non sei mica malata!"
Alzi la mano chi in dolce attesa non si è sentita rivolgere questa esortazione o qualcosa di molto simile.A me è successo, più volte, se non esplicitamente in modo sottinteso: durante i primi mesi di gravidanza quando sonnolenza e indolenza prendono il sopravvento oppure più avanti quando è inevitabile un rallentamento generale dei ritmi di vita personali e lavorativi. Col risultato che spesso pur di non sentirsi "malate", incapaci e in difficoltà ci si ritrova a correre per mantenere il ritmo!
Io personalmente, quella frase, la odiavo.
Nei primi mesi della mia seconda gravidanza ci sono stati dei momenti in cui faticavo a stare in piedi per badare al mio primo bimbo che aveva poco più di un anno e mezzo e tantissima voglia di scoprire il mondo!
E proprio nei momenti più difficili ecco arrivare la frase incriminata: "Non sei mica malata!"
Non il massimo come sostegno motivazionale, eppure chi si è sentita rivolgere questa assurdità a sua volta non perderà occasione per ripeterla alla malcapitata di turno! (Mi chiedo: capiterà forse anche a me? E' tipicamente femminile o più correttamente, è tipico della vittima priva di consapevolezza: voler far patire agli altri le ingiustizie di cui siamo stati oggetto...a meno che, una volta riconosciuto il torto, non ci si impegni ad interrompere questa triste ruota!)
Cosa c'entra tutto questo con il parto in casa?
In questa profusione di impegno a ricordare alla gestante che non è una malata (che corrisponde spesso ad inutili e controproducenti sforzi della stessa per non sentirsi tale) è per me un paradosso che poi la sede socialmente riconosciuta come adeguata a partorire sia proprio l'ospedale!
Luogo in cui troppo spesso, purtroppo, questo evento si sta svuotando della sua naturalità per essere riempito di interventi di medicalizzazione superflui e deleteri.
Questo è il mio pensiero.
Mentre durante i mesi di gravidanza i cambiamenti corporei, fisiologici e psicologici ci chiedono di rallentare e mutare i nostri ritmi quotidiani in vista proprio dell'arrivo del neonato che inevitabilmente stravolgerà la nostra vita, il momento del parto non penso richieda nella maggior parte dei casi competenze altre che quelle della madre e del piccolo nascituro.
Per questo nascere in casa, nell'intimità della propria famiglia e delle proprie mura domestiche, immersi in odori, rumori e suoni familiari, con il supporto di personale esperto e non invasivo e con la consapevolezza di poter affrontare eventuali difficoltà e imprevisti in ospedale, può rappresentare una scelta concreta per venire al mondo con le migliori prospettive di accudimento, affetto e calore, creando i presupposti affinché parto e allattamento possano avere un naturale esito positivo e privo di complicazioni.
Per fortuna oggi anche molti ospedali si stanno adeguando alle richieste di maggiore intimità e fisiologia e stanno modificando i propri reparti maternità e le procedure interne di gestione delle nascite al fine di accogliere con maggior rispetto mamme-partorienti, neonati...papà, fratellini e sorelline.
Evitare inutili interventi di medicalizzazione durante e dopo il parto potrebbe essere un valido criterio guida per la scelta del luogo più giusto, che sia l'ospedale o la propria casa, per partorire, una scelta per se stesse in quanto "donne capaci" e per il proprio bimbo affinché inizi bene la sua avventura nel mondo!
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